L’elicottero volteggia sopra le creste di Punta Plagnis cercando un punto di sbarco sicuro malgrado il vento che soffia da nord. Il pilota ci raccomanda attenzione nello scendere, mentre governa il rumoroso velivolo con la cloche, che è una specie di grosso joystick, lo sguardo fisso avanti e una calma rassicurante. Scivoliamo fuori senza sobbalzi proprio sulla vetta del Monte Cregnedul. Poi, in pochi secondi l’elicottero scende verso valle e a breve ritorna. Con alcune rotazioni trasporta nei punti concordati tutti i materiali, circa 800 Kg fra cavi, pioli metallici e strumenti, pronti per essere messi in opera sul Sentiero Ceria Merlone, che necessita di una revisione delle attrezzature oramai datate. Infine il rumoroso moscone se ne va e la montagna si riprende il suo silenzio, concedendosi soltanto al rumore del vento.
Le rocce sono già coperte da un sottile strato di neve che dipinge come strisciate di pennello bianco le tinte autunnali della montagna. Noi siamo a pochissima distanza dalla selletta dove il Sentiero Ceria Merlone volge verso nord affondando nel versante settentrionale, già privo di sole e dai colori decisamente invernali. Il nostro piano è quello di trascorre i giorni di attività in quota, organizzandoci con un bivacco per evitare di salire e scendere ogni giorno dalla valle alla cresta, percorso davvero lungo e faticoso. Staremo diversi giorni quassù, e abbiamo un po’ di dubbi… Meglio dormire all’aperto o in tenda? Riusciremo a riposare abbastanza dopo le intense giornate di lavoro? La risposta è nel passato.
Proprio un secolo fa, alcuni generali comandanti, dai loro uffici gonfi di strategia e politica, inviarono migliaia di uomini a combattere su queste creste. I soldati, certamente sprovvisti di goretex, piumini, light technology e dried food, si accamparono e si organizzarono costruendo baracche e scavando gallerie per trascorrere qui i mesi del conflitto e cercando, più che di vincere, di sopravvivere. E allora che ci vorrà? La grotta da essi scavata proprio in prossimità della vetta del Cregnedul sarà il nostro spettacolare albergo alpino!
Questa grotta, i ruderi dei ricoveri, i resti delle attrezzature ed i piccoli sentieri sulle cenge, sono la testimonianza visibile e tangibile di quegli anni tremendi. Sarebbe già una ragione sufficiente per venire quassù, invece non è tutto, qui c’è molto altro.
C’è la silouette scura dell’aquila che percorre senza un battito d’ala tutto il fianco del Cregnedul, contornando ogni dorsale e canalone, e che lontanissima poi scompare dietro alle quinte del Buinz.
C’è un branco di stambecchi che ci fa visita curioso e che la sera ci osserva dalle cenge colorate di rosso tramonto, e passeggia al di sopra di profondi strapiombi.
C’è un mare di nubi color argento che la mattina invade le valli nascondendo i villaggi e regalandoci la sensazione di essere soli sulla montagna, con le vette che emergono dalle onde di nuvole come nei fiordi del nord.
Fiori in autunno non ce ne sono, ma il colore dell’erba è quello dell’oro, le rocce sono chiare, bianche le chiazze di neve, ed il cielo è blu, di un blu puro e cristallino.
C’è un vento che non ha colore e che si accanisce a scuotere le pietre inanimate, assolutamente imperturbabili dalla sua insistenza.
E nell’ultimo giorno quando scendiamo nella nebbia, ci sono sagome di stambecchi con un trofeo enorme e bonario. Questi animali ci osservano con un’espressione interdetta e ci guardano passare del tutto indifferenti all’aria turbolenta che annuncia la tempesta.
Domani farà neve, tanta. La ferrata è finita, l’autunno anche. Non ritorneremo quassù che la prossima stagione, all’inizio dell’estate, nel pieno della fioritura alpina, fatta di piccoli petali colorati e molto tenaci.
Queste sono le Alpi Orientali, questo il loro respiro. A noi il privilegio di averlo vissuto per una decina di intensissime giornate trascorse fra lavoro, fatica, risate e poesia. Visitatele, rispettatele, rubate le immagini ed i profumi, portateli con voi e lasciate la montagna intatta. E soprattutto accumulate queste sensazioni fra le cose belle della vostra vita.
Il Ceria Merlone è un percorso di circa cinque chilometri che concatena cenge, creste e canali dalla Forca de lis Sieris alla Forca del Livinal da l’Ors. Sfruttato e utilizzato dai soldati italiani durante la Prima Guerra Mondiale, è stato attrezzato come via ferrata nel 1971. Richiede cura e manutenzione costante, attività che viene coordinata dalla Commissione Giulio Carnica Sentieri, che ha in carico tutte le vie ferrate del Friuli.
Le ferrate in Friuli sono tante e ciascuna rappresenta una gemma incastonata nella corona delle Alpi Giulie o delle Alpi Carniche, ciascuna con la propria peculiarità, ognuna con il proprio carattere alpinistico, storico, sportivo, culturale, e dove l’incontro con un altro gruppo di alpinisti fa piacere e non fa mai folla!
Il Ceria Merlone è descritto nella guida “Vie Ferrate in Friuli – volume 2 – Settore Orientale” che assieme al “Volume 1 – Settore Occidentale” raccoglie 54 itinerari e numerose varianti. I volumi sono stati scritti e puntigliosamente documentati da Giampiero Zamò e Guido Candolini, pubblicati da Edizioni inMont.