Dike, knob, slab, crack e altre amenità della Yosemite Valley
Racconto di una vacanza di arrampicata nel tempio
La mia mano entra facilmente nella fessura ma, per quanto io continui a frugare, non c’è appiglio utile. Devo una volta ancora, spingere con le dita da un lato e con il dorso dall’altro, cercando di realizzare un incastro per poter proseguire. Anche il piede non gode di un trattamento migliore: va infilato di taglio nella fessura e poi ruotato con forza per ottenere un appoggio efficiente. Avevo sentito parlare di incastri favolosi e di fessure perfette qui in Yosemite, ma l’unica sensazione che al momento provo è di dolore!
E’ tempo di proteggersi, colloco un friend nella regolare fessura: è perfetto e sembra appositamente costruito per questa larghezza e posizione. La sua tenuta è una garanzia, bucare e metterci uno spit appare proprio stonato, e capisco perché i friend sono stati inventati proprio qui, in California!
Però rigorosa e strana questa etica americana del clean climbing! Allora, se c’è una fessura nemmeno pensare di metterci uno spit, se c’è placca preparati al runout, anche lungo, anche molto lungo!
Intanto sto ancora combattendo sulla fessura di 5.8 di Nutcracker, e il 5.8 non è mica il V+ della tabella di corrispondenza, è 5.8 duro e basta, e ti devi ingaggiare per benino! Ora, dopo i due passi tecnici di 5.9 la fessura incide la liscia placca con una ripida diagonale, in alto diventa un po’ più irregolare e lascia spazio a micro fantasie di appigli. Dopo una strozzatura offre lo spazio ideale per un altro friend, proprio lì sopra. Ecco, fatto. Ma bravo; e adesso? Se ci metti il friend non ci metti la mano, svegliati Massimo: non lo avevi ancora capito? Quindi, prima si fa il passaggio e poi ci si protegge.
Oh yes, I can!
Finalmente seduto sul terrazzino dopo la dura lotta in fessura, attrezzo la sosta su di un albero (ovviamente niente spit o chiodi per le soste!) e recupero i miei due compagni. Sul passo di 5.9 Luca gratta un po’ con i piedi in placca, ma poi inizia la lunga teoria della fessura! Da ex olimpionico di Judo quale è non gli fa difetto la forza nelle mani e nelle braccia. Lo guardo con attenzione, quando la sua mano si infila in fessura sembra che si gonfi per incastrarsi e sale velocemente, incastra e sale, inarrestabile. In Dulfer poi… giuro, mi è sembrato anche di veder la fessura allargarsi! Enrico chiude la cordata, è giovane, ma malgrado l’irruenza dei vent’anni esprime un’arrampicata elegante, mai un passo fuori posto, mai un movimento azzardato. E’ incredibile come la stessa lunghezza di corda possa essere arrampicata in modi così diversi, è sorprendente quanto l’arrampicata rappresenti la nostra personalità.
Sul Pwyack Dome, a Toulumne Meadows sempre nel parco di Yosemite ma al di fuori della valle, abbiamo percorso una dike, una specie di vena di quarzo sinuosa simile ad una cicatrice disegnata lungo la placca. Lungo i tiri nemmeno perdere tempo a cercare di proteggersi con i friend o altro, assolutamente impossibile. Rari spit, ma molto rari, sono tutto ciò che l’etica americana concede. Gianni avanza con grinta e forse un po’ di disperazione lungo i 30 m di runout, quello che noi chiamiamo “slego”, cacciando un urlo liberatorio quando agguanta la sosta questa volta costituita da 2 spit, ma da 8 mm, arrugginiti e per giunta piantati a mano (in Yosemite è vietato l’uso del trapano)! La guida di Tuolumne Meadows, che acquisteremo solo l’indomani, descrive la via con quattro stelle (excellent climb) di difficoltà 5.9 R, dove R indica runout (dangerous fall), ma nello schizzo, in piccolo, con testo di dimensione da clausola assicurativa, sta scritto “5.8 X if don’t find bolt” (se non trovi lo spit). Leggo l’introduzione, la tabella di valutazione e finalmente trovo il significato di X: “a fall will likely result in severe injury or death”. Cioè, per chi non sa l’inglese, X vuol dire che, se cadi ti puoi fare molto male o addirittura morire, e Gianni, quello spit, non l’ha trovato! Bravo Gianni!
Per chi segue invece è una danza con la psiche leggera un volteggio da un dike a un knob (una specie di bitorzolo di quarzo che emerge dalla placca), con piedi spesso in aderenza sulla placca che qui chiamano slab. Che godimento, che panorama, mancano solo gli indiani e un minaccioso puma che salta flessuoso dalle rocce di fronte a noi, proprio come in un film western.
Ora ritorniamo in Yosemite Valley, saliamo la più lunga via classica di media difficoltà della valle, Royal Arches, proprio sulla verticale del famoso e rumoroso Awanee Hotel, luogo un po’ troppo “in” per i miei gusti. Siamo anche di fronte all’Half Dome e vediamo in lontananza il profilo del Capitan e delle Cathedral Rock, i luoghi attraversati dalla storia dell’arrampicata. Penso al vuoto assoluto di quelle vie, alle portaledge sospese, ai cliff per i passi di artificiale e alle fessure diritte e faticose. Anche noi su questa via oggi ci impegneremo in un pendolo come quelli veri, per attraversare una placca altrimenti valutata 5.10b. Flavia davanti a me ci passa d’un fiato e poco dopo sparisce veloce lungo le fessure terminali della via. Io afferro la brutta corda fissa e dondolo una volta, poi un’altra ancora come fossi al circo. Oltre il pendolo attrezzo la sosta, questa volta su friend, e, mentre faccio salire i miei compagni, penso: “ma perché metterci questa vecchia corda ancorata in alto (su spit!) invece di due piccoli spit così da rendere interessante anche il tentativo in libera? Valli a capire questi Yankee…”.
Le placche finali di Royal Arches conducono alle calate della lunga teoria di corde doppie. Non sono placche difficili, Raffaella ha arrampicato alla grande per tutta la via e siamo alla fine. Gli ultimi passi sono lisci e le sembrano inarrivabili, quando prende la mia mano si emoziona e le scappa una lacrimuccia, forse per far sfogare la tensione, o forse perché solo adesso si rende conto della gran bella via che ha salito! Ma è solo un attimo, poi giù, ci aspettano almeno una decina di corde doppie!
Gli ultimi due giorni il tempo si è messo al brutto, in anticipo rispetto al trend stagionale. Ci dedichiamo allora a fare i turisti, e ci rechiamo a Mariposa ad ammirare le sequoie giganti, ma proprio giganti… L’indomani rientriamo verso San Francisco, ne attraversiamo la città in mezzo ai grattacieli e raggiungiamo il view point sul Golden Gate. Per finire una cena in centro a festeggiare le belle salite di questa vacanza di arrampicata americana.